
Ancora un altro ricordo della Massa che fu grazie
agli amici dell’Archeoclub Lubrensedel Presidente Stefano Ruocco che
stavolta ci presentano un altro Caro personaggio, Emilia del Torrione.
Dalla Loro Pagina:
Chi ricorda Erminia Barbato? Credo pochi massesi, probabilmente solo quelli del rione Villarco!
Il motivo è molto semplice: Per una sessantina di anni questa donna,
non è praticamente uscita di casa. Erminia preferiva rimanere rinchiusa
al sicuro al primo piano dello storico edificio “il Torrione”, a pregare
o a sbrigare qualche faccenda domestica, piuttosto che scendere in
strada ed essere a contatto con altre persone. Si avvertiva della sua
presenza raramente, solo quando si affacciava dall’alto del terrazzino
al lato della Guardia di Finanza, per chiedere di avere qualche genere
di prima necessità. Unici interlocutori erano il Salumiere di fronte e
soprattutto il Finanziere Antonio Faibene. Negli ultimi anni di vita,
quando aveva delle esigenze impellenti, lo chiamava per ore, in ogni
momento della giornata: Toni ! Toni ! Toni !…, , Lo chiamava anche
quando non era in servizio, ma Lei non poteva saperlo, avendo perso in
parte l’udito e l’uso della vista a causa della cataratta.
Ci è del
tutto ignota la ragione per la quale aveva scelto di isolarsi dal
mondo, passando gran parte della propria esistenza a fare la “monaca di
casa” – una sorta di bizzoca (*) – vivendo praticamente sola. Eppure nel
“Quariere”, l’edificio principale a ridosso del ‘Torrione’, vivevano le
famiglie di due suoi fratelli ‘Totonno ‘e Carlo’, che le portava da
mangiare, e Vincenzo; ma, niente da fare, Erminia preferiva stare da
sola. Da ragazza aveva svolto poche attività. La più famosa era stata
quella di corriere tra la Marina e Massa Centro, da dove, con l’ausilio
di un rudimentale carretto in legno, trainava carichi di vario genere in
arrivo e in partenza dal porticciolo.
Nata a Massa Lubrense nel
febbraio del 1912, Erminia è deceduta nel 1997 a Sorrento, presso
l’Ospizio S. Antonio, dove era stata condotta qualche anno prima, anche
forzando la sua volontà. Ma anche dopo la sua scomparsa il ‘Torrione’
risultava sbarrato e inaccessibile, finché gli eredi, alcuni nipoti, non
raccolsero le sue poche cose e lo lasciarono libero, accatastando
quanto da buttare in alcuni sacchi lasciati in situ.
Fino a quel
momento pochissime erano state le persone che avevano avuto
l’opportunità di visitare l’antica torre dei Gesuiti o addirittura
affacciarsi dalla sommità per ammirare il magnifico panorama: Una
possente barra di ferro, sollevabile solo dall’interno, bloccava
perennemente il portoncino di ingresso.
Fu solo nel 2005, per
iniziativa del benemerito Renato Scarpato che si procedette – in accordo
con l’Amministrazione Comunale e la collaborazione entusiasta di tanti
cittadini della Villarca – ad una radicale pulizia dello stabile,
portando via interi camion di materiali accumulati negli anni. In
qualche modo la comunità, finalmente, si riapprovava di quel monumento,
un vero e proprio gioiello di architettura militare e simbolo
dell’identità cittadina. Furono tanti quelli che tornarono ad
affacciarsi dalla sommità della torre e tantissimi quelli che lo fecero
per la prima volta. Tuttavia le condizioni dello stabile, e soprattutto
della scala in legno a servizio degli ultimi due livelli, non garantiva
sufficiente sicurezza, per cui si dovette immediatamente limitare
l’accesso ai soli primi due piani.
In tempi recenti, il Torrione,
com’è ben noto, è stato assegnato dal Demanio al Ministero
dell’Ambiente, che, a sua volta, lo ha destinato ad ospitare gli uffici
dell’AMP ‘Punta Campanella’, dopo lunghe ed impegnative opere di
consolidamento e restauro.
Della presenza sessantennale di Erminia
Barbato nello stabile oggi non resta più nulla, se non nel ricordo dei
pochi che l’hanno conosciuta personalmente o nei tanti che hanno
ascoltato le sue interminabili e lamentevoli richieste di aiuto a
Minicuccio o Antonio. Ci restano tuttavia alcune sue foto, che qui
pubblichiamo, raccolte dai sacchi lasciati nell’edificio, assieme a
centinaia di pagelline funebri di massesi defunti, santini e delle
lettere familiari conservate presso l’archivio comunale.
__________________
(*) Le ‘bizzoche’ o ‘vezzoche’, erano laiche consacrate che vivevano nelle proprie famiglie in una sorta di monachesimo domestico, quindi il termine non va inteso in senso dispregiativo.