
Grazie Carlo per la Tua affezione alla nostra Massa:
Febbraio corto e amaro. E, in aggiunta, anno bisesto anno funesto.
Non è la prima volta che i proverbi della saggezza popolare vengono in aiuto per raccapezzarsi rispetto a vicende che altrimenti, e con la sola forza della ragione e della logica, non si riuscirebbe a spiegare. Tanto sono assurdi e autolesionistici.
Fuori dai giri di parole, la notizia che ci ha fatto precipitare – il “ci” non è riferito solo a chi scrive ma alla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica massese – nello sconforto più profondo è il diktat dello Stato che vorrebbe “riprendersi”, con una decisione assolutamente immotivata i locali nei quali è ospitata la sede dell’Archeoclub Lubrense, sì proprio la creatura di don Peppino Esposito che, grazie ai miracoli di abnegazione di Stefano Ruocco e della sua pattuglia di volontari votati al sacrificio in nome della cultura (e lo hanno fatto benissimo visto che la postazione Archeoclub è ormai un punto di riferimento essenziale nel panorama massese che non offre molti spunti di interesse o occasioni di richiamo come è accaduto per lo straordinario successo di BookSophia che ha superato i confini regionali) e dell’intrattenimento non banale soprattutto per i giovani.
Il diktat, per ora, è solo annunciato, ma non ci facciamo soverchie illusioni e non se ne fa neanche il sindaco Balducelli che ha immediatamente chiesto un confronto che scacci via i fantasmi. Se è vero, ritornando alla saggezza popolare, che due indizi fanno una prova nel nostro caso ci sono e la mobilitazione popolare bè d’obbligo e, per fortuna, l’allerta è molto vigile e determinata. E qui ci permettiamo di sollecitare la discesa in campo non solo del Ministro Franceschini, già chiamato in causa dall’Archeoclub, ma anche di Gaetano Manfredi neo responsabile della politica universitaria e protagonista del dibattito di BookSophia. E di Romano Prodi che ha mostrato grande interesse per la storia millenaria di Massa Lubrense: per difendere il sacrosanto diritto dell’Archeoclub a continuare la mission deve scendere in campo, compatta e determinata, l’Italia che guarda al futuro e vuole che il Mezzogiorno affronti la sfida della rinascita.
Veniamo al nocciolo della questione. Lo Stato intenderebbe riappropriarsi dei locali che lo stesso Stato qualche anno fa aveva concesso ignorando o fingendo di ignorare che in questo lasso di tempo l’Archeoclub si è accollato il peso e le spese di una ristrutturazione profonda, elegante e, soprattutto, funzionale agli obiettivi che l’Associazione si prefigge: consultazione dei libri in biblioteca, alcuni sono rari e preziosi, dibattiti e meeting point per i giovani desiderosi di sottrarsi agli ozi della piazza e del bar. Come la mettiamo? La burocrazia ministeriale finora non è andata oltre la minaccia verbale ma tutti a Massa sanno che lo spazio concesso all’Archeoclub era stato ridotto ad una sorta di discarica a cielo chiuso e sono stati splendidamente recuperati grazie alla tenacia degli assegnatari che hanno investito somme ingenti per riuscire nell’impresa. Una mano concede, l’altra toglie: è un gioco al massacro che è una sorta di cartina di tornasole della governance nazionale.
C’è di che andare in bestia, insomma, anche perché si fa riferimento ad una fabbrica che ha ancora al suo interno spazi da destinare alla funzione pubblica. Più che di un diktat, quindi, forse è più giusto parlare di una prova muscolare o di Golia contro Davide che, però, non ha alcuna voglia o timore reverenziale di farsi da parte. Se non è vero parliamone senza infingimenti perché è in gioco la credibilità delle istituzioni e, in subordine, la salute mentale di una comunità che non vuole perdere quello che ha legittimamente conquistato e che ha onorato con una gestione assolutamente limpida e meritoria.
Nel nome degli insegnamenti tramandati dal suo fondatore, don Peppino. L’Archeoclub che ha imboccato il terzo millennio ha una continuità straordinaria con l’associazione, per così dire, preistorica: allora era l’ACR – l’azione cattolica, il calcio con la palla di pezza e la corsa campestre – oggi è la Cultura in tutte le sue declinazioni. Non è cambiato niente, vogliamo dire, e niente deve cambiare.
Carlo Franco