
Anche quest’anno chiudo gli aggiornamenti
di oggi pensando al tragico evento del terremoto dell’80 ed alla
memoria delle tante vite strappate da un crudele destino il 23 novembre di 39
anni fa. Per Loro questo mio scritto, di tempo fa, e le mie, le nostre
preghiere, di oggi..
23 Novembre 1980 e giorni successivi!
Era una domenica, e chi se la scorda più, una domenica uguale a tutte le altre
che trascorrevo da studente universitario mantenuto dai miei: la mattina si era
andati con l’autobus di Lucio ad assistere alla partita dell’allora Juve Massa
in trasferta dalle parti di Torre del Greco, ricordo che si passava vicino a
quel convento che si vede in alto su quella collina dalla fermata di via Monaci
della Circumvesuviana, il risultato non lo ricordo, mi ricordo solo che faceva
un gran caldo per quel periodo. La sera, invece, stavamo in piazza, io, Gianni,
Maria Grazia e Caterina, parte del nostro gruppo di amici del periodo, ad
attendere alla solita ora, il solito “passaggio” per Sorrento, meta delle
nostre quotidiane passeggiate, per un gelato o una pizzetta. All’improvviso,
erano le 19 e 32, mi sentii percorrere da una stana sensazione come un
malessere, sembrava che il mondo mi girasse intorno ed il campanile della
Chiesa oscillasse paurosamente: “ragazzi” – esclamai –“non mi sento bene, mi
gira la testa!”. “Anche a noi”, fu la risposta unanime dei miei amici. Fu un
attimo, non so se di sorpresa o di paura e realizzammo (mi vengono ancora i
brividi a pensare a quei momenti) quello che era accaduto. L’orologio del
campanile si fermò a quell’ora, l’energia elettrica venne meno, tanti ma tanti
abbaiare di cani e tanta tanta gente che arrivava in piazza da tutte le parti!
I collegamenti telefonici saltarono, ricordo che quando dopo qualche ora, papà
riuscì a tornare a casa (lavorava al cinema di Vico) ci disse che aveva vissuto
uno dei momenti più brutti della sua vita dopo aver sentito del terremoto,
delle prime notizie di vittime anche in penisola sorrentina e di non riuscire a
sapere nulla della moglie e dei figli e solo adesso che ci vedeva sani e salvi,
anche se impauriti, poteva sentirsi tranquillo: stava con la Sua famiglia, con
la ragione della sua vita, insieme alle sue persone più care! Di quei primi
momenti ricordo anche quando, uscendo dal municipio, il medico di guardia, (la
guardia medica era lì situata) il simpatico dr, Iannone, Gli mando un saluto
dovunque egli sia, disse che il comandante dei vigili di allora, il compianto
Fois, quando sentì il boato successivo al terremoto esclamò: “ ‘E cche’ è già
v’nut Natal’ chist’ann’!” ed invece mai potevamo immaginare noi, solo sfiorati,
che immane tragedia stava avvenendo ad un paio di centinaia di chilometri di
distanza! La cosa che più ricordo di quei primi momenti e dei giorni successivi
fu la grande solidarietà che si stabilì tra i miei concittadini in quelle prime
notti passate all’addiaccio nelle automobili. Non esisteva più il ricco o il
povero, chi non aveva un’auto era ospitato da chi magari ne aveva due (che
belle le auto dell’epoca, le 132, le 500, le alfa romeo come quella dei vigili,
le ford fiesta primo modello, le lancia, ecc ecc) e persone di tutte le età si
davano da fare a girovagare per tutta la notte con termos sempre pieni, di the,
caffè e addirittura latte al cioccolato per i bambini, o a portare legna da
ardere nei vari falò sparsi per le piazze. Ci volevamo tutti bene e pur nella
consapevolezza del disagio e dell’esperienza dura che ci trovavamo a vivere
eravamo in un certo qual senso felici di vivere quelle giornate. Ricordo, con
un sorriso, la sera del 24 quando all’approssimarsi della stessa ora, tanta
gente credeva, non so in base a che cosa, che l’evento si sarebbe ripetuto e
forse in maniera peggiore e i loro sguardi sollevati, quando alle 19 e 35 nulla
era accaduto. Prima di concludere (magari quando arriverò col mio blog a quel
periodo approfondirò l’argomento), voglio renderVi nota un’esperienza personale
vissuta in quei giorni. Essendo stato “assunto” come vigile provvisorio per il
sisma, insieme ai tanti che poi son rimasti a farlo, e vada un sincero saluto
agli amici di quei giorni, Bruno, Gennaro, Raffaele Galano, Umberto, il
compianto Fiorenzo, Mimì, Lorenzo, Raffaele Mellino, il mitico prof. Joviero,
Angelo e Giuseppe Esposito, e qualcuno mi perdoni se non l’ho citato, fui
incaricato di accompagnare il personale della soprintendenza che stava
redigendo un rapporto sui danni subiti dalle nostre Chiese a fare il giro delle
chiese. Durante questo giro venni a sapere che a Pastena, ospitati dalla
congiunta Carmela, moglie di un poliziotto in servizio a Sorrento. Il simpatico
Pasquale, erano venuti, “sfollati” da Lioni, uno dei paesi più tremendamente
colpiti dal terremoto, nell’alta Irpinia, la mamma, uno zio e le sorelle.
Stringemmo una vera amicizia con quelle persone, sentivamo i loro discorsi su
quanto avevano vissuto, vedevamo i loro occhi riempirsi di lacrime nel
raccontarlo e partì una vera gara di solidarietà nei loro confronti. Un giorno
che dovevano ritornare al loro paese per svolgere alcuni adempimenti, mi
chiesero se volevo accompagnarli a vedere il loro paese distrutto: di slancio
accettai e al mattino presto partimmo. Un paio d’ore di viaggio, la Napoli
Bari, uscita Grottaminarda e poi la statale vesro Sant’Angelo dei Lombardi –
Lioni. Erano posti bellissimi in mezzo al verde, ma c’era un qualcosa sempre
più di drammatico, intere code di camion militari, ambulanze, elicotteri e
tante macchine con i bagagliai stracolmi e piene di persone, soprattutto di
bambini impauriti (scusate un attimo, mi fermo perché mi sta venendo da
piangere) con il naso incollato al finestrino. Ma il peggio doveva ancora
venire, quando arrivammo a Lioni, vidi uno spettacolo che non dimenticherò più
e che avevo visto solo nei film, praticamente il paese non c’era più, centinaia
di case distrutte e quelle che non erano cadute, si erano accartocciate paurosamente
su se stesse…..
Nel campo sportivo un enorme accampamento, con grosse tende destinate ad
ospitare i sopravvissuti, alcune più grandi che facevano da Chiesa, Scuola e da
Sala Pranzo. Alcuni piangevano, dicendo che non c’erano più bare per seppellire
i tanti morti e che comunque si doveva fare in fretta per evitare epidemie
anche se il freddo di quelle montagne dava comunque un aiuto. Di quella gente
di montagna ricordo comunque la fierezza, il saper accettare quello che stava
capitando loro e la voglia di rimboccarsi le maniche e di agire soprattutto per
aiutare quelli che erano rimasti ed erano più bisognosi di aiuto. Era un popolo
di emigranti ed in occasione di quella tragedia erano tornati per aiutare i
loro congiunti o per seppellire i loro morti, gente dalla Germania, dalla
Svizzera, dalla Francia ma soprattutto dall’Argentina e dal Venezuela, gente
che tornava dopo decenni con i loro figli che non avevano mai visto la terra
natia dei propri genitori e adesso la vedevano ridotta ad un cumulo di macerie.
In quel giorno mi resi conto, forse per la prima volta, che la vita è costretta
un giorno, quando Dio vuole, a finire: fino ad allora non avevo avuto
esperienza dirette di questa Sorella, per dirla alla San Francesco, – i miei
nonni, erano morti quando ero piccolo, e realizzai, promettendo a me stesso,
che fino quando ne avessi avuto il tempo, avrei sempre dovuto cercare di fare
qualcosa di buono per gli altri: da allora spero sempre di rispettare quella
promessa fatta al cospetto di quel triste scenario. Insieme a quegli amici ed
ai loro familiari pranzammo nell’accampamento e, ricordo, che mi fecero
mangiare salumi e formaggi buonissimi, andati a recuperare in quel che restava
delle loro case, e me ne diedero anche da portare a casa! Non avevano niente ma
quel che poco che avevano, era di tutti!
La sera quando ci preparammo a partire, salutarono parenti e amici e piangendo,
si scambiarono la reciproca promessa che sarebbero tornati (come infatti fu
dopo qualche anno) perché quella era la loro terra e là sarebbero tornati a
qualunque costo! Fin quando rimase a Pastena la signora Carmela, rimanemmo in
contatto con quella famiglia e l’amicizia continuò anche dopo: ricordo che ci
invitarono anche al matrimonio della sorella Antonietta a cui, felice di andare,
mi recai con mamma, alla guida della nuova 126 verde di papà, che un po’
riluttante e con tante raccomandazioni, mi aveva concesso di prendere. Erano
passati solo un paio di anni, ma quella gente laboriosa d’Irpinia, aveva
ricostruito il loro Paese: quando arrivammo, in una splendida giornata di sole,
sembrava non avere nulla in comune con il paese visto distrutto solo qualche
anno prima: solo i contorni delle colline e la strada erano rimaste gli stessi,
per il resto tutto cambiato, nel campo sportivo si disputava la partita, la
Chiesa con le campane era stata ricostruita al suo posto e così la scuola, il
palazzo del comune. Solo al posto delle case c’era un’enorme distesa di
fabbricati che a vederli sembravano anche belli come villette ma non appena
entrati si capiva quanta sofferenza doveva ancora essere vissuta da quelle
fiere genti: “Lello”, mi diceva Carmela, “ speriamo di avere al più presto una
vera casa, perché in questi prefabbricati fa caldo d’estate e freddo d’inverno
e i bambini si ammalano e gli anziani soffrono”. Allora capii quanto può essere
importante vivere tra quattro mura che son mura! Le chiesi di voler andare al
Cimitero per rendere omaggio recitare una preghiera per le tante vittime, e
rimasi colpito da quelle centinaia di tombe che recavano impressa la stessa
data di morte, 23 novembre 1980 ma gli anni più disparati di nascita, ’54, ’61,
’29, ………ma quelle che mi riempirono il cuore di tristezza, se ce ne’era ancora
spazio, furono quelle con impressi gli anni ’77, ’78, ’79, ’80, quelle di tanti
bambini chiamati ad essere angioletti troppo presto……………………..In Loro ricordo
questo mio scritto………